Come può liberarsi dal terrore chi dal terrore è oppresso? Come possono gli schiavi ottenere la libertà? Ecco la risposta: con la “Bomba”.» Così recitava un pamphlet anonimo del 1913, di autore indiano, a metà fra il manuale bellico e l’esortazione alla rivolta.
A inizio Novecento l’Asia
coloniale – l’immensa rete di località marittime, passi montani, piantagioni e
vie d’acqua compresa tra l’oceano Indiano e le coste orientali cinesi – è una
polveriera pronta a mandare in frantumi gli imperi europei. Da Bombay a
Shanghai, da Singapore a Manila, le banchine dei porti e i transatlantici che
fanno la spola dall’Europa diventano la via d’accesso di idee anarchiche e
marxiste, oltre che il teatro di un continuo scambio di personalità,
traduzioni, ricette politiche tanto varie quanto originali. I pellegrini di
questo sottosuolo antimperiale – come il futuro Ho Chi Minh e la nemesi di
Gandhi, M.N. Roy – convergeranno in una nuova Mecca, la Mosca dei primi anni
Venti, per poi diffondere in Asia il verbo di un mondo che non è più lo stesso.
Terroristi, ammutinati,
femministe con i capelli a caschetto, doppiogiochisti, tipografi clandestini,
facinorosi che s’imbarcano come marinai: tra fonti d’archivio, stampa
dell’epoca e documenti privati, Tim Harper ripercorre nel suo libro-mondo le
traiettorie avventurose degli uomini e delle donne che gettarono le basi di una
nuova idea di Asia.
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