La Seconda Repubblica ha mostrato tutti i suoi limiti, ora è tempo di un nuovo Patto per riformare il paese, che non potrà essere un lavoro di parte, ma un percorso unificante nello spirito repubblicano dettato dalla Costituzione. Nella nostra Carta, c’è tutto quello che occorre per uscire dall’impasse italiana – identità nazionale, diritti civili, doveri civici, strumenti per aggiornare l’ordinamento dello stato –, tocca a noi, ora, avere il coraggio di cambiare.
Esattamente trent’anni fa, si apriva la Seconda
Repubblica. Eravamo tutti lì a festeggiare la fine, insieme al sistema
proporzionale, di un lungo periodo di politica asfittica e corrotta.
Credevamo di entrare in una nuova era di modernità e dinamismo, ma le
cose non sono andate come speravamo. In questi trent’anni tutti gli
indicatori economici, sociali, culturali italiani sono peggiorati
rispetto ai grandi paesi europei. Il numero di cittadini che votano e
partecipano alla vita politica si è ridotto drasticamente. Nessuna
riforma incisiva è stata varata. I salari reali italiani hanno perso il
due percento contro un aumento superiore al trenta percento in Francia e
Germania. Abbiamo letteralmente buttato trent’anni – lo dicono i numeri
e le tendenze, che non sono né di destra, né di sinistra – e
continuiamo a perdere tempo in una battaglia tribale che nulla ha a che
vedere con il senso più alto della politica. In questo vuoto
ultradecennale di governo, i protagonisti del dibattito pubblico hanno
preso la forma di “poteri storti”: l’occupazione della Rai e dei
giornali, la scomparsa della forza di rappresentanza dei sindacati e di
Confindustria, le influenti signorie locali dei governatori regionali,
l’ego smisurato di leader politici che si circondano di circoli magici e
guardano al loro particolare più che al bene dell’Italia.
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