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Preso nel vortice degli affari e degli impegni ciascuno consuma la propria vita, sempre in ansia per quello che accadrà, e annoiato di ciò che ha. Chi invece dedica ogni attimo del suo tempo alla propria crescita, chi dispone ogni giornata come se fosse la vita intera, non aspetta con speranza il domani né lo teme. Seneca - Il Tempo

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Festìna lente ("Affrettati lentamente") - Svetonio

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giovedì 7 novembre 2024

Le elezioni USA e il Mezzogiorno, “GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO”, 5 novembre 2024 di Guglielmo Forges Davanzati (docente di Storia del pensiero economico all’Università del Salento)

La gran parte degli analisti prevede che la vittoria di Trump produrrà esclusivamente effetti negativi sull’economia europea, in virtù dei dazi che il Presidente imporrà sulle importazioni dal nostro continente e dalla Cina. La Storia economica ci dà, però, un insegnamento di segno leggermente diverso rispetto ai vantaggi del libero scambio, rilevando che l’industrializzazione – con la sola eccezione del Regno Unito nella prima rivoluzione industriale nella seconda metà del Settecento – è sempre avvenuta facendo crescere industrie nascenti nazionali con misure di protezione doganale. Friedrich List, economista tedesco la cui opera principale è Il sistema nazionale dell'economia politica del 1841, è stato fra i primi a mostrare come la “protezione delle industrie nascenti” fosse la sola strategia che la Germania avrebbe potuto adottare per non soccombere alla concorrenza inglese, essendo l’Inghilterra partita prima nel processo di industrializzazione.

 

Questa considerazione di carattere generale può essere declinata nel contesto attuale e con riferimento ai nessi fra politica commerciale USA e prospettive di crescita del Mezzogiorno, sulla base di una duplice considerazione.

 

1) Innanzitutto, non corrisponde pienamente al vero che solo i Repubblicani USA sono favorevoli al protezionismo. L’IRA (Inflation reduction act) di Biden – un forte stimolo fiscale destinato alle imprese statunintensi per la transizione “green” – è stato, di fatto, un provvedimento ascribile al caso del protezionismo occulto. Mentre è ormai ben nota l’esplicita adesione di Trump alla politica di protezione dell’industria USA (“la parola più bella del dirzionario” – ha dichiarato – “è tariffe doganali”), è forse meno nota un’analoga presa di posizione di Kamala Harris, secondo la quale “bisogna in qualche modo difendersi da un’ondata di concorrenza sleale”. 

 

2) Gli USA, nella seconda globalizzazione (dagli anni Novanta allo scoppio della guerra in Ucraina) hanno svolto il ruolo di importatori netti di prodotti europei e successivamente cinesi, finanziando i deficit della bilancia commerciale con continui aumenti del debito pubblico. In virtù del privilegio esorbitante (come lo definì il Presidente francese Giscard d'Estaing) di detenere la moneta di riserva internazionale, gli USA sono l’unico Paese al mondo a godere del conseguente privilegio di non avere limiti all’espansione e alla sostenibilità del loro indebitamento sovrano. Non a caso, questo è passato dal 50% al 121% rispetto al Pil (in linea con la tendenza all’aumento del debito pubblico mondiale) negli ultimi trent’anni. Dagli anni Settanta, gli USA sperimentano costantemente il doppio deficit (della bilancia commerciale – con valori che oscillano fra il -2% e il -6% - e del bilancio pubblico, come attestato dall’US Census Bureau). In sostanza, gli USA sono riusciti, grazie al dollaro, a vivere sistematicamente al di sopra delle loro possibilità e la loro propensione all’eccesso di consumo, per certi aspetti, ha prodotto più danni che benefici all’Unione Europea e, dunque, al Mezzogiorno.

 

Nella storia recente, la propensione delle famiglie statunitensi all’overconsumption (consumi resi possibili dall’indebitamento privato) è stata la principale causa della crisi finanziaria globale del 2008. Il Sud ne ha risentito in modo estremamente significativo, con una caduta del Pil e un aumento della disoccupazione – negli anni che vanno dal 2009 al 2014 - maggiore e più duratura di quella registrata nel Centro-Nord.

 

Quella esperienza mostra che esiste un rilevante effetto di propagazione delle scelte di politica economica statunitensi sull’economia del Mezzogiorno. Si tratta di un effetto di propagazione che passa per la reiterazione, in Europa, di politiche di contrazione della spesa pubblica (che l’Unione ha evitato solo con il Next Generation Europe per far fronte alla pandemia), che i Paesi centrali del continente – Germania e Paesi “satelliti” - trovano tanto più convenienti quanto maggiore è la propensione alle importazioni da parte degli USA.

 

Poiché, infatti, le imprese localizzate nel Mezzogiorno hanno bassa propensione alle esportazioni, la compressione della domanda interna e la connessa moderazione salariale non ha, per loro gli effetti rilevanti che ha per le imprese del Nord (e del Centro-Europa) e produce il solo effetto di generare aumento della disoccupazione e rallentamento del tasso di crescita. Inoltre, in considerazione della specializzazione produttiva del Sud fortemente orientata verso settori a basso valore aggiunto e a basso contenuto di ricerca e sviluppo, le imprese meridionali subiscono la concorrenza di Paesi con bassi salari e analoga specializzazione. Anche in questo caso, si tratta di un effetto – di segno negativo – tanto maggiore quanto minore è la protezione doganale. Si pensi, a titolo esemplificativo, al riorientamento dei flussi turistici, negli ultimi anni, dalle tradizionali mete pugliesi verso l’Albania, la Grecia, la Croazia.

 

La diffusa e spessa acritica apologia del liberoscambio, peraltro, non considera un’ampia evidenza empirica – per la quale si rinvia agli studi di Dani Rodrik, uno dei più accreditati economisti statunitensi  – che dimostra che i Paesi industrializzati hanno registrato i loro massimi tassi di crescita nella loro storia nelle fasi nelle quali erano in vigore controlli sui movimenti di capitale (https://www.project-syndicate.org/onpoint/an-interview-with-dani-rodrik-trade-protectionism-development-redistribution-globalization-2023-10).





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mercoledì 6 novembre 2024

OGGI A LECCE 'Dialoghi scomodi' sui nuovi scenari euro-mediterranei: un incontro per riflettere e costruire insieme un futuro possibile

La Fondazione Palmieri e il blog Dialoghi scomodi: Conversazioni aperte su politica e società di Leonardo Elia, in collaborazione con I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, sono lieti di annunciare l’incontro “Dialoghi scomodi – scenari geopolitici euro mediterranei per un’altra vita possibile”, un evento imperdibile per tutti coloro che desiderano approfondire le sfide e le opportunità del nostro tempo. L’appuntamento è per il 6 novembre 2024, alle ore 18.30, presso la sede della Fondazione Palmieri in Vico dei Sotterranei a Lecce, ultimo giorno inoltre disponibile per visitare la personale di pittura della Fondazione Palmieri di Paola Scialpi dal titolo “Un’altra vita”

Interventi previsti :
Vice sindaco: Roberto Giordano Anguilla
Dott. Leonardo Elia (Dialoghi scomodi: Conversazioni aperte su politica e società
Prof. Guglielmo Forges Davanzati – Docente di Storia del pensiero economico (Unisalento);
Prof Maurizio Nocera (scrittore, saggista).
Modera Stefano Donno (Editore de I Quaderni del Bardo Edizioni)


In un mondo sempre più interconnesso e segnato da profonde trasformazioni, il Mediterraneo rappresenta un crocevia di culture, interessi e tensioni. L’incontro, attraverso un confronto aperto e costruttivo tra esperti e cittadini, si propone di:

Analizzare le implicazioni degli attuali conflitti: con un focus particolare sui conflitti in Ucraina e in Libano, l’evento cercherà di comprendere come questi sconvolgimenti stiano ridefinendo l’equilibrio geopolitico regionale e globale.

Esplorare le prospettive per un’Europa unita e solidale: In un contesto di crescente incertezza, soprattutto economica, l’Europa è chiamata a ripensare il proprio ruolo e a rafforzare la cooperazione tra i suoi Stati membri. L’incontro offrirà l’opportunità di discutere le sfide e le opportunità per un’Europa più coesa e capace di affrontare le sfide socio/economiche del futuro.


Promuovere un dialogo costruttivo tra diverse prospettive: L’evento si rivolge a un pubblico ampio e variegato, composto da studiosi, politici, attivisti e cittadini interessati a partecipare a una riflessione collettiva sui temi della geopolitica, della sicurezza e della cooperazione internazionale.

Perché partecipare? Per comprendere meglio il mondo che ci circonda: L’incontro offrirà l’opportunità di acquisire nuove conoscenze e di approfondire temi di grande attualità. Per confrontarsi con esperti del settore: Interverranno all’evento esperti di fama nazionale e internazionale, che condivideranno le loro analisi e le loro prospettive. Per contribuire a costruire un futuro migliore: Partecipando all’incontro, potrai dare il tuo contributo a una riflessione collettiva sulle sfide del nostro tempo e contribuire a costruire un futuro più giusto e sostenibile. (sotto un'opera dell'artista Paola Scialpi)




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martedì 5 novembre 2024

Usa2024, Harris: "Saranno elezioni serratissime, ogni voto conta"

Intervista a Jorge Luis Borges 1977, Roma

Usa2024, Harris: "Saranno elezioni serratissime, ogni voto conta"

Limes. Rivista italiana di geopolitica (2024). Vol. 9: La notte di Israele

Tra guerra all'Iran e guerra civile.
Gli adoratori dell'apocalisse.
La sveglia suona ma l'Italia dorme.


La nuova, più intensa fase della guerra senza quartiere tra Israele e "asse della resistenza" iraniano cambia in modo radicale e irreversibile la fragile equazione mediorientale. Il governo israeliano porta alle estreme conseguenze la logica dello scontro "esistenziale", puntando a modificare strutturalmente i rapporti di forza a svantaggio di Teheran e alleati e subordinando a tal fine qualsiasi considerazione di carattere diplomatico e umanitario. L'Iran, timoroso dello scontro diretto con lo Stato ebraico e con l'America ma deciso a mantenere una deterrenza che considera assicurazione sulla vita, sta abbandonando il paradigma della "pazienza strategica" a vantaggio delle istanze interne più radicali, specie negli ambienti militari. I paesi arabi del Golfo oscillano tra ostilità verso Teheran e paura dei contraccolpi dell'offensiva israeliana, insensibile a qualsiasi "linea rossa". Gli Stati Uniti, paralizzati dalla campagna elettorale e divisi al loro interno tra sostegno a Israele e condanna della sua deriva bellicista, stentano ad articolare una posizione e finiscono per essere usati dal premier Binyamin Netanyahu e dalla destra israeliana, avallandone di fatto fini e metodi. L'Europa condanna le reciproche violenze ma è egualmente impotente, al pari dell'Onu e delle altre agenzie, governative e non, presenti in Libano e a Gaza. Questa guerra, come il barbaro attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 che l'ha precipitata, sta mettendo in discussione natura, coesione, rapporti internazionali, integrità territoriale e identità dello Stato ebraico. Il rischio di una eterogenesi dei fini, ben presente in ogni conflitto come da ultimo sperimentato da Vladimir Putin in Ucraina, è grave e concreto.




CHI SIAMO NOI? Il destino dell'Italia nei nuovi scenari globali -Caracciolo,Salmoni,Preterossi,Guzzi

Come scoppiano le guerre? - La prima guerra mondiale

Report e la verità sul genocidio a Gaza: il servizio pubblico che tutti dovrebbero vedere

EMD2024 | L'Unione può farcela? – Diretta streaming sabato