Uno studio del MIT, Massachussets Istitute of Tecnology, ha messo a confronto la risposta neurofisiologica e cognitiva di tre gruppi di persone di fronte ad un componimento, di fronte ad una scrittura.
Un gruppo era formato da
chi non usa supporti informatici di nessun tipo, un altro gruppo da chi invece
utilizza abitualmente la rete, il terzo
gruppo chi si basa abitualmente su chat Gpt.
Le prove sono state
ripetute più volte in un arco di tre mesi, con un’esame orale e scritto, come
si diceva una volta, di quello che è stato prodotto dai partecipanti,
incrociato da un’elettroencefalogrammografia, che attraverso una serie di
elettrodi esterni, ha riportato come le diverse aree del cervello si
“accendevano” e si rapportavano tra di loro durante l’indagine.
I risultati dello studio,
per quanto ovvi, specie per chi, come me nutre dubbi su un’ utilizzo della
tecnologia senza alcun limite, sono inquietanti.
Il gruppo che non usa
aiuti, ha dato risultati nettamente migliori, specialmente nei confronti dei soggetti che usano frequentemente la IA per produrre testi. Che tra l’altro non
ricordano quello che hanno scritto loro
stessi poco tempo prima. Essi hanno sviluppato un debito cognitivo, quindi minore
capacità di collegare più ragionamenti ,
di sviluppare un pensiero articolato, minore
capacità di elaborare in
autonomia .
Gli utenti che usano la
rete abitualmente, stesse conclusioni, ma
deficit più contenuti .
Anche l’attivazione delle
aree del cervello è risultata differente, e dava l’anatomia e la fisiologia
delle differenze emerse dall’esame tradizionale.
Non bisogna dimenticare
che queste conclusioni si riferiscono ad un campione che abitualmente usa queste tecnologie, che subisce l’adattamento
al mezzo utilizzato.
Il genere umano fin dalla
sua apparizione sulla terra si è avvalso di apparati, che per quanto ora ci possono apparire primitivi, come la
selce scheggiata, lo hanno accompagnato
e hanno accompagnato la sua storia e la
sua evoluzione , aiutandolo nel
quotidiano e quindi modificandone la vita. Le “protesi” come le chiamava il
compianto Roberto Calasso, di Adelphi,
che avevano sempre un loro perché.
Il perché della AI, se le
conclusioni sono queste, mi inquieta, perché io mi interrogo a cosa e a chi,
servano cervelli, che non ideano, menti che hanno perso la più grande ricchezza
dell’individuo che è il senso critico.
Un orizzonte distopico che sta già prendendo
forma intorno a noi, senza che la società
se ne renda conto, perché la consapevolezza , che proviene direttamente
dall’autonoma , cosciente e strutturata elaborazione di pensiero, è la prima vittima
dell’ utilizzo pervasivo di questo tipo di tecnologie.
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