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Potere vuol dire determinare i limiti del pensabile

Potere vuol dire determinare i limiti del pensabile

Ipse dixit ...

Preso nel vortice degli affari e degli impegni ciascuno consuma la propria vita, sempre in ansia per quello che accadrà, e annoiato di ciò che ha. Chi invece dedica ogni attimo del suo tempo alla propria crescita, chi dispone ogni giornata come se fosse la vita intera, non aspetta con speranza il domani né lo teme. Seneca - Il Tempo

Dubitando ....

Dubitando ad veritatem pervenimus - Cicerone

Festìna lente ("Affrettati lentamente") - Svetonio

Festìna lente ("Affrettati lentamente") - Svetonio

Più che dare risposte sensate ...

«Più che dare risposte sensate, una mente scientifica formula domande sensate.» Claude Lévi-Strauss

sabato 2 agosto 2025

La strage di Bologna di Paolo Morando (Feltrinelli)

 Nella storia di Anna Di Vittorio c’è tutta la strage di Bologna. Dopo la sentenza Cavallini e la condanna di Bellini, Paolo Morando racconta la più grave strage della storia italiana, che per la prima volta ha mandanti e organizzatori. Nell’agosto del 1980 sembrava che la stagione della strategia della tensione fosse definitivamente archiviata, ma – per chi ne reggeva i fili – non era affatto conclusa.


Il 2 agosto 1980 Anna Di Vittorio perse il fratello Mauro. In quei giorni conobbe Gian Carlo Calidori, poi divenuto suo marito, che nella strage aveva perso invece un amico. Una quindicina d’anni fa, dopo un lungo percorso di corrispondenza e conoscenza con Mambro e Fioravanti, Anna e il marito scrissero la lettera di “perdono” che consentì alla Mambro di ottenere la libertà. Poi però il fronte innocentista iniziò a sostenere che a trasportare la bomba, rimanendone vittima, era stato Mauro Di Vittorio, vicino a Lotta Continua. All’ipotesi aderirono senza imbarazzi proprio Mambro e Fioravanti. La vicenda rientrò, anche per via giudiziaria, ma permette di fare il punto definitivo sulla storia processuale e sulle novità emerse dalle sentenze su Gilberto Cavallini e Paolo Bellini, entrambi condannati all’ergastolo. Lo sfondo di quest’ultimo processo riguardava, infatti, per la prima volta, mandanti e organizzatori della strage. E passi per Gelli e Ortolani, ma sono rispuntati nomi che sembravano appartenere a una stagione precedente, come l’ex capo dell’Ufficio affari riservati Federico Umberto D’Amato e il giornalista Mario Tedeschi, già senatore missino e direttore del “Borghese”. Oggi la lettura della strage di Bologna è cambiata: non più l’opera di un gruppo di ragazzetti esaltati (i Nar), bensì un’operazione lungamente studiata, quanto in alto ancora non si sa, ma sicuramente organizzata e finanziata dalla P2, insieme a pezzi dello Stato e saldando le sigle della galassia dell’eversione nera. Tutto questo in una logica di continuità con gli anni settanta: quell’aspra stagione della strategia della tensione, insomma, che nell’agosto del 1980 l’Italia sembrava aver definitivamente archiviato, ma che – per chi ne reggeva i fili – non era invece affatto conclusa



Processo STRAGE DI BOLOGNA

Strage Stazione di Bologna 1980 - l'ultima rivelazione di Cossiga

Bologna, l'autobus 37 simbolo della strage del 2 agosto torna in stazione

2 agosto 1980 Un giorno nella vita (di Carlo Lucarelli - Rai 1, Agosto 2020)

Strage di Bologna, l'ex agente dei servizi segreti Francesco Pazienza: "Fiat dietro il depistaggio"

La STRAGE Di BOLOGNA: 45 Anni Dopo

venerdì 1 agosto 2025

La rivoluzione del buon senso. Per un paese normale di Giuseppe Valditara (Guerini e Associati)

Agli eccessi del wokismo e alle derive del massimalismo, è necessario contrapporre una riflessione culturale che si ispiri ai valori di libertà, parta da una seria considerazione della realtà, ripristini il fondamentale principio del buon senso. Centralità della persona e cultura del rispetto, responsabilità individuale e considerazione dell’autorità, doveri e non solo diritti, importanza del lavoro frutto del talento e dell’impegno, sicurezza come libertà dalla paura, riscoperta della nostra storia, consapevolezza della nostra identità, fierezza della nostra civiltà: sono i pilastri culturali di una moderna azione di governo. Attraverso un’analisi storica accurata, il libro costituisce un contributo essenziale per delineare una visione solida e coerente, radicata nella tradizione ma capace di affrontare le complessità del mondo contemporaneo. Una visione di futuro che restituisce alla parola Patria il significato di ciò che siamo stati, siamo oggi e vogliamo essere un domani. L’orgoglio italiano per il Paese che verrà



Killing Joke - Eighties

M Moro, Giallo Amerikano - Puntata 4: L'uomo della CIA

Contro il progresso: l’ideologia di Trump - di Federico Petroni

La Riviera di Gaza dalla distopia alla realtà:ecco il piano completo per l'annessione-NonTg del 30/7

Turisti o padroni? - I mezzi e i fini - L'Antidiplomatico

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L’appello che non basta | La Fionda

L’appello che non basta | La Fionda

Guerra di classe: erosione del potere di acquisto | La Fionda

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giovedì 31 luglio 2025

mercoledì 30 luglio 2025

Considerazioni scomode #22 a cura di Leonardo Elia

Il ritorno del protezionismo e la de-industrializzazione USA Guglielmo Forges Davanzati (Prof. Storia del Pensiero Economico - UNISALENTO)

Stephen Miran è il principale teorico del protezionismo dell’aministrazione Trump. Nell’articolo User’s guide to resttucturing the global trading system del 2024, Miran rileva due principali benefici per l’economia USA derivanti dall’introduzione di dazi, ovvero: l’aumento del gettito fiscale e la re-industrializzazione. Nel dibattito italiano, queste tesi vengono spesso considerate con sufficienza e prevale la convinzione che le misure protezionistiche USA siano destinate a produrre danni per la stessa economia statunitense, trattandosi di una gestione irrazionale della politica commerciale. Si tratta di quella che viene definita la Madam theory o teoria dei pazzi al potere, secondo la quale l’irrazionalità del comportamento del Presidente serve a disorientare gli avversari politici per ottenere il massimo vantaggio nelle trattative. 

Conviene, per contro, prendere Miran sul serio e verificare se le sue tesi reggono alla prova della teoria e dei fatti.

Miran parte dall’osservazione per la quale, essendo il dollaro valuta di riserva internazionale, la sua continua rivalutazione, è responsabile del declino industriale americano anche come conseguenza della concorrenza di Paesi con costi di produzione più bassi e cambio deprezzato (Cina, in primis). Si stima, a riguardo, che la quota degli occupati sul totale della forza-lavoro nella manifattura americana si è ridotta dal 24% del 1960 all’8% del 2025. Il peso del Pil USA su quello mondiale si è ridotto dal 40% del 1960 al 21% del 2012. Secondo Miran, l’introduzione di dazi può servire ad arrestare questa tendenza e, al tempo stesso, ad attrarre capitali negli USA. I dazi, infatti, proteggono le imprese con sede negli USA dalla concorrenza internazionale. Il ritorno al protezionismo – si aggiunge – non avrebbe effetti inflazionistici (si cita, a riguardo, l’esperienza positiva del biennio 2018-2019) e, con un livello “ottimo” dei dazi (stimato al 20%) si produrrebbe anche l’aumento del gettito fiscale. Va da sé che questo effetto si produce solo se la domanda statunitense di prodotti importati è molto rigida e, per conseguenza, mentre un basso livello dei dazi (dunque, politicamente poco rilevante, se i dazi sono concepiti come strumento di negoziazione politica) può generare un gettito elevato, vale il contrario nel caso di dazi elevati.

Questa tesi è criticabile per due ordini di ragioni:

1) Non sembra esistere correlazione fra diffusione del dollaro come valuta di riserva internazionale e de-industrializzazione USA. Dal 1944 e nei successivi decenni la domanda di dollari su scala internazionale è continuamente cresciuta, salvo far registrare un significativo decremento nell’ultimo triennio (raggiungendo oggi il minimo storico del 57.54%, a fronte di un aumento della domanda, in particolare, di euro, soprattutto per effetto della dollarizzazione promossa dai BRICS). Il deficit commerciale americano è aumentato del 60%, al netto dell’inflazione, tra il 2000 e il 2022. Si badi che questo aumento si è registrato proprio a partire dalle prime msiure protezionistiche, volute, in particolare, dall’amministrazione Biden. Come è noto, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, con gli accordi di Bretton Woods, il dollaro diventa la valuta di riserva internazionale. Il problema nasce dal fatto che gli USA sperimentato da tempo un problema di “doppio deficit” (pubblico e della bilancia dei pagamenti) che, negli ultimi anni, ha generato un processo di de-dollarizzazione, connesso al tentativo dei BRICS di utilizzare una valuta diversa dal dollaro. Se il protezionismo serve a regolare l’offerta di dollari, allora quella dell’amministrazione Trump – nelle circostanze attuali - ha come finalità essenziale la difesa dell’egemonia monetaria, che, a sua volta, è difesa di quello che il Presidente francesce Valéry Giscard d’Estaing ebbe a definire l’”esorbitante privilegio”. L’esistenza, in Europa, di regolamenti (e, dunque, di barriere non tariffarie), in particolare su salute e ambiente, viene percepita dall’industria statunitense e da Trump come ostacoli alle esportazioni USA, pur essendo valide erga omnes e non configurandosi, a rigore, come strumenti di protezione. Miran ritiene anche che l’aumento dei dazi generi incrementi del gettito fiscale: va da sé che questo effetto si produce solo se la domanda statunitense di prodotti importati è molto rigida e, per conseguenza, mentre un basso livello dei dazi (dunque, politicamente poco rilevante, se i dazi sono concepiti come strumento di negoziazione politica) può generare un gettito elevato, vale il contrario nel caso di dazi elevati. Si ha, quindi, un trade-off fra rilevanza del protezionismo per il conseguimento di finalità di contrattazione con Paesi terzi e sua importanza per contribuire al risanamento delle finanze pubbliche. 

2) La de-industrializzazione appare semmai connessa alla finanziarizzazione, non all’apprezzamento del dollaro e ha, dunque, ha che vedere con il modello di sviluppo che l’economia USA si è data soprattutto negli ultimi decenni e, in particolare, con la deregolamentazione dei mercati finanziari voluta da Clinton e alle delocalizzazioni (causate da molti fattori oltre al tasso di cambio, fra i quali: più bassi salari all’estero, tassazione più favorevole, minori vincoli ambientali). Si calcola che l’incidenza della sfera finanziaria (quantificata dallo stock complessivo delle attività finanziare esistenti sul mercato) sul Pil USA è in continuo aumento dal 1950 a oggi. La finanziarizzazione dell’economia e delle imprese frena la produzione industriale soprattutto perché crea incentivi ad allocare capitale monetario in attività più redditizie con utili conseguibili in tempi più rapidi. 

Letto in quest’ottica, la vera novità del protezionismo USA consiste nel fatto che– probabilmente per la prima volta nella Storia del capitalismo – le politiche di protezione delle industrie nascenti (teorizzate e messe in atto nella Germania della prima rivoluzione industriale, in particolare da F. List, alla metà dell’Ottocento e poi dai Paesi in via di sviluppo nel secolo scorso) – sono realizzate nella prima economia al mondo. Trump sta accelerando il processo, ma questo era in fieri da decenni, perché è da tempo che gli USA sperimentano il paradosso di voler, simultaneamente vivere al di sopra delle loro possibilità (creando, dunque, elevati e crescenti debiti privati e pubblici) e salvaguardare l’equilibrio della loro bilancia commerciale.



INSEGNARE LETTERATURA NEL TEMPO DEI DOGMI WOKE

ITALIANI UMILIATI DA VON DER LEYEN E TRUMP FT. Colantoni, Gabellini

L'idealismo come stile di vita

Guasto è il mondo di Tony Judt (Mondadori)

  C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro modo di vivere. Per decenni abbiamo trasformato in virtù il perseguimento dell’interess...