Le elezioni del 2022, per la prima volta nella storia repubblicana, hanno dato a una formazione esplicitamente di destra la maggioranza relativa. Questo significa che l’Italia è diventata un paese di destra o magari lo è sempre stata? E cosa farà Giorgia Meloni di una simile chance? Indulgerà agli umori illiberali della tradizione neofascista? Coltiverà il populismo sovranista? O costruirà un partito conservatore di stampo liberale?
Quella della destra italiana dopo il fascismo è
una storia tortuosa. Che, nei decenni del dopoguerra, va dai
qualunquisti di Guglielmo Giannini agli orfani della monarchia, dal
Movimento sociale italiano ai liberali di Giovanni Malagodi. E che poi,
con la seconda Repubblica, approda al populismo liberale di Silvio
Berlusconi, alle leghe nordiste, al tentativo di Gianfranco Fini di
trasformare l’eredità neofascista in un moderno conservatorismo e, oggi,
alla scommessa di Giorgia Meloni. Ma dietro le destre, c’è il paese al
quale esse si rivolgono. E cioè una ‘maggioranza silenziosa’ che nel
dopoguerra era stata estranea alla religione dell’antifascismo,
tradizionalista, talvolta reazionaria, anticomunista e che finiva per
votare ‘turandosi il naso’. Un’opinione pubblica che porta fino ai
giorni nostri la sua diffidenza nei confronti della politica e dei
partiti, l’ostilità verso le élites, la permeabilità ai messaggi
populisti. È facile cadere nella tentazione di giudicare questa parte
del paese ‘arretrata’, incolta, umorale, senza capirne le ragioni, tanto
più che ha sempre espresso un elettorato senza tessere e senza fedeltà
ideologiche, dunque pronto a cambiare bandiera. Una mina vagante per la
stabilità del paese o una sorta di sua coscienza critica? Un popolo da
rieducare o da ascoltare? Giorgia Meloni, che da quel popolo trae non
pochi consensi, dovrà fare le sue scelte.
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