La tesi che si intende qui sostenere fa riferimento al fatto che – sebbene le politiche protezionistiche attuate da Trump non abbiano un fondamento di razionalità né di ragionevolezza (ci si riferisce alla quantificazione dei dazi) – il protezionismo in quanto tale va preso sul serio, sia con riferimento alla sua Storia, sia con riferimento al suo essere risposta ai risultati prodotti dalla globalizzazione negli ultimi trent’anni. In altri termini, il protezionismo USA è la risposta sbagliata a un problema esistente e, contrariamente a una lettuta diffusa, esso ha una base scientifica (non in Trump) e, dunque, un fondamento razionale. C’è poi da ricordare che l’amministrazione Biden, sebbene in misura più ridotta, ha imposto forme di protezione occulata, mediante un ingente programma di sussidi alle imprese USA denominato Inflation Reduction Act.
La decisione di Trump di imporre dazi al resto del mondo
costituisce, senza dubbio, la fine della globalizzazione degli ultimi
trent’anni e può essere letta alla luce delle teorie economiche del
protezionismo che si rilevano nella Storia del pensiero economico. L’autore più
noto a riguardo è il tedesco F. List, che, opponendosi alla teoria dei costi
comparati di Ricardo (per la quale il commercio internazionale avvantaggia
tutti i Paesi che ne prendono parte), teorizzò la necessità per la Germania di
imporre misure di protezione (temporanee) per far crescere la sua industria.
L’argomento di List si fonda sulla distinzione fra Paesi early startes e Paesi
late comer e, per conseguenza, sulla necessità di proteggere le produzioni dei
secondi, fino ad arrivare, nel lungo periodo, alla parità dei poteri
contattuali e al libero scambio. Gli storici (in particolare, Carlo Maria
Cipolla) hanno fatto oservare che quasi sempre l’industrializzazione dei Paesi
occidentali si è resa possibile grazie al protezionismo.
La svolta di Trump, inoltre, è finalizzata a porre un argine
alla globalizzazione, anche a seguito dei fenomeni di de-globalizzazione
dell’ultimi biennio. L’evidenza empirica mostra che la globalizzazione, dalla
prima metà degli anni Novanta, si è associata a una significativa riduzione del
tasso di crescita delle economie avanzate e, ancor più, a un notevole
peggioramento della distribuzione del reddito, sia fra Paesi, sia all’interno
dei singoli Paesi.
Occorre, quindi, evitare il rischio di criticare Trump per
difendere l’assetto pre-esistente. Occorrerebbe semmai ripensare un modello di
sviluppo su scala globale basato su espansioni coordinate della domanda aggregata.
Un contributo del Prof GUGLIELMO FORGES DAVANZATI (UNISALENTO)
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