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Ipse dixit ...

Preso nel vortice degli affari e degli impegni ciascuno consuma la propria vita, sempre in ansia per quello che accadrà, e annoiato di ciò che ha. Chi invece dedica ogni attimo del suo tempo alla propria crescita, chi dispone ogni giornata come se fosse la vita intera, non aspetta con speranza il domani né lo teme. Seneca - Il Tempo

Dubitando ....

Dubitando ad veritatem pervenimus - Cicerone

Festìna lente ("Affrettati lentamente") - Svetonio

Festìna lente ("Affrettati lentamente") - Svetonio

domenica 10 novembre 2024

...Continuavano a chiamarla sciagura. Nuovo diario tragicomico del governo Meloni di Andrea Scanzi (PaperFIRST)

Dopo il successo de "La sciagura" (sia del libro che dello spettacolo teatrale) e a distanza di due anni dalla “nascita infausta” dell’attuale governo Meloni, Andrea Scanzi torna a riflettere con ironia e disillusione sul pressapochismo dei nostri governanti. Un pamphlet velenoso che non fa sconti a nessuno, in cui viene messa a nudo una vera e propria “mandria di politici incapaci”. Eppure parte dell'opinione pubblica non recepisce ancora il fallimento in corso. Nonostante la doppia morale (la famiglia tradizionale deve essere sempre quella degli altri), la “sagra eterna del complotto stolto”, “l’amichettismo” (tanto deprecato da Meloni quando era all’opposizione, ma poi regolarmente attuato una volta diventata presidente del Consiglio), le continue bugie e una classe dirigente di livello sconfortante, questo governo è destinato a durare fino alla fine del suo mandato. E magari non solo. Il rischio è alto, se l’opposizione non sarà in grado di presentarsi alle prossime elezioni come alternativa credibile e non metterà definitivamente da parte l’idea scellerata dell’alleanza con Renzi. Questo libro, accorato e spietato, è anche una ricetta per uscire da questa situazione sempre più cupa e opprimente.




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sabato 9 novembre 2024

08 NOVEMBRE 2024 - LECCE - POLI BORTONE: "PARLERÓ AL MINISTRO DI TITO SCHIPA E DI TANTO ALTRO"

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venerdì 8 novembre 2024

Le atrocità di Mussolini. I crimini di guerra rimossi dell'Italia fascista di Michael Palumbo (Edizioni Alegre)

Questo libro è stato già pubblicato nel 1992 (con il titolo L'Olocausto rimosso), ma nessuno ha mai potuto trovarlo in libreria. La casa editrice Rizzoli decise infatti, subito dopo averle stampate, di mandare al macero tutte le copie di questo testo, ritenuto evidentemente troppo scomodo. Il lavoro di ricerca di Michael Palumbo sulla storia dei crimini di guerra del fascismo era già presente nel documentario Fascist Legacy prodotto dalla Bbc nel 1989, anch'esso acquistato dalla Rai e mai mandato in onda nonostante L'Unità del 10 giugno 1990 lo definisse come l'opera che «ha posto fine per sempre alla leggenda degli "italiani brava gente"». Palumbo ha portato infatti alla luce la decisiva documentazione proveniente dagli archivi nazionali degli Stati Uniti a Washington DC e dalla Commissione delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra con cui, insieme a ulteriore materiale reperito in dieci lingue diverse, comprova le atrocità commesse in tutti i paesi in cui l'Italia entrò in guerra: dalla Libia all'Etiopia, dalla Grecia alla Jugoslavia. Crimini poi insabbiati dagli angloamericani per non disturbare gli equilibri del dopoguerra e mantenere a disposizione una classe dirigente utile alla crociata anticomunista della nuova Italia democratica. Successivamente, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, altri studiosi hanno pubblicato importanti ricerche sui crimini di guerra fascisti. Arrivando solo oggi nelle librerie italiane, Le atrocità di Mussolini completa il quadro. Lo stile di Palumbo e la drammaticità degli eventi offrono un affresco tragico e illuminante di cosa è stata l'Italia fascista, un volto che le forze politiche eredi di quella stagione provano costantemente a rimuovere dalla memoria nazionale.




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giovedì 7 novembre 2024

Le elezioni USA e il Mezzogiorno, “GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO”, 5 novembre 2024 di Guglielmo Forges Davanzati (docente di Storia del pensiero economico all’Università del Salento)

La gran parte degli analisti prevede che la vittoria di Trump produrrà esclusivamente effetti negativi sull’economia europea, in virtù dei dazi che il Presidente imporrà sulle importazioni dal nostro continente e dalla Cina. La Storia economica ci dà, però, un insegnamento di segno leggermente diverso rispetto ai vantaggi del libero scambio, rilevando che l’industrializzazione – con la sola eccezione del Regno Unito nella prima rivoluzione industriale nella seconda metà del Settecento – è sempre avvenuta facendo crescere industrie nascenti nazionali con misure di protezione doganale. Friedrich List, economista tedesco la cui opera principale è Il sistema nazionale dell'economia politica del 1841, è stato fra i primi a mostrare come la “protezione delle industrie nascenti” fosse la sola strategia che la Germania avrebbe potuto adottare per non soccombere alla concorrenza inglese, essendo l’Inghilterra partita prima nel processo di industrializzazione.

 

Questa considerazione di carattere generale può essere declinata nel contesto attuale e con riferimento ai nessi fra politica commerciale USA e prospettive di crescita del Mezzogiorno, sulla base di una duplice considerazione.

 

1) Innanzitutto, non corrisponde pienamente al vero che solo i Repubblicani USA sono favorevoli al protezionismo. L’IRA (Inflation reduction act) di Biden – un forte stimolo fiscale destinato alle imprese statunintensi per la transizione “green” – è stato, di fatto, un provvedimento ascribile al caso del protezionismo occulto. Mentre è ormai ben nota l’esplicita adesione di Trump alla politica di protezione dell’industria USA (“la parola più bella del dirzionario” – ha dichiarato – “è tariffe doganali”), è forse meno nota un’analoga presa di posizione di Kamala Harris, secondo la quale “bisogna in qualche modo difendersi da un’ondata di concorrenza sleale”. 

 

2) Gli USA, nella seconda globalizzazione (dagli anni Novanta allo scoppio della guerra in Ucraina) hanno svolto il ruolo di importatori netti di prodotti europei e successivamente cinesi, finanziando i deficit della bilancia commerciale con continui aumenti del debito pubblico. In virtù del privilegio esorbitante (come lo definì il Presidente francese Giscard d'Estaing) di detenere la moneta di riserva internazionale, gli USA sono l’unico Paese al mondo a godere del conseguente privilegio di non avere limiti all’espansione e alla sostenibilità del loro indebitamento sovrano. Non a caso, questo è passato dal 50% al 121% rispetto al Pil (in linea con la tendenza all’aumento del debito pubblico mondiale) negli ultimi trent’anni. Dagli anni Settanta, gli USA sperimentano costantemente il doppio deficit (della bilancia commerciale – con valori che oscillano fra il -2% e il -6% - e del bilancio pubblico, come attestato dall’US Census Bureau). In sostanza, gli USA sono riusciti, grazie al dollaro, a vivere sistematicamente al di sopra delle loro possibilità e la loro propensione all’eccesso di consumo, per certi aspetti, ha prodotto più danni che benefici all’Unione Europea e, dunque, al Mezzogiorno.

 

Nella storia recente, la propensione delle famiglie statunitensi all’overconsumption (consumi resi possibili dall’indebitamento privato) è stata la principale causa della crisi finanziaria globale del 2008. Il Sud ne ha risentito in modo estremamente significativo, con una caduta del Pil e un aumento della disoccupazione – negli anni che vanno dal 2009 al 2014 - maggiore e più duratura di quella registrata nel Centro-Nord.

 

Quella esperienza mostra che esiste un rilevante effetto di propagazione delle scelte di politica economica statunitensi sull’economia del Mezzogiorno. Si tratta di un effetto di propagazione che passa per la reiterazione, in Europa, di politiche di contrazione della spesa pubblica (che l’Unione ha evitato solo con il Next Generation Europe per far fronte alla pandemia), che i Paesi centrali del continente – Germania e Paesi “satelliti” - trovano tanto più convenienti quanto maggiore è la propensione alle importazioni da parte degli USA.

 

Poiché, infatti, le imprese localizzate nel Mezzogiorno hanno bassa propensione alle esportazioni, la compressione della domanda interna e la connessa moderazione salariale non ha, per loro gli effetti rilevanti che ha per le imprese del Nord (e del Centro-Europa) e produce il solo effetto di generare aumento della disoccupazione e rallentamento del tasso di crescita. Inoltre, in considerazione della specializzazione produttiva del Sud fortemente orientata verso settori a basso valore aggiunto e a basso contenuto di ricerca e sviluppo, le imprese meridionali subiscono la concorrenza di Paesi con bassi salari e analoga specializzazione. Anche in questo caso, si tratta di un effetto – di segno negativo – tanto maggiore quanto minore è la protezione doganale. Si pensi, a titolo esemplificativo, al riorientamento dei flussi turistici, negli ultimi anni, dalle tradizionali mete pugliesi verso l’Albania, la Grecia, la Croazia.

 

La diffusa e spessa acritica apologia del liberoscambio, peraltro, non considera un’ampia evidenza empirica – per la quale si rinvia agli studi di Dani Rodrik, uno dei più accreditati economisti statunitensi  – che dimostra che i Paesi industrializzati hanno registrato i loro massimi tassi di crescita nella loro storia nelle fasi nelle quali erano in vigore controlli sui movimenti di capitale (https://www.project-syndicate.org/onpoint/an-interview-with-dani-rodrik-trade-protectionism-development-redistribution-globalization-2023-10).





TRUMP TRIONFA alla Casa Bianca, l'America si prepara alla GUERRA TOTALE AI BRICS?

OLOCAUSTO DI LUCA IMPERIALE OGGI AL MUSEO FAGGIANO DI LECCE

  Venerdì 22 novembre 2024 ore 18,30 presso il Museo Faggiano di Lecce in via Ascanio Grandi 56, è prevista la presentazione del libro (con ...